Biografia Biography

Salvator Rosa nasce a Napoli,presso il borgo dell’Arenella, il 20 luglio 1615. Viene introdotto ai primi rudimenti della pittura da suo nonno Vito Antonio, che ha bottega al largo Carità. All’età di 17 anni è già avviato alla professione di artista. A questi anni va attribuita una serie di tele non molto grandi, rappresentanti brani di vita reale e quotidiana, colta nella sua cruda verità, di chiara influenza della pittura dei bamboccianti romani.

Grazie al cognato Francesco Fracanzano, viene introdotto nella bottega del Ribera, pittore spagnolo, esponente delle più recenti tendenze naturalistiche di materia caravaggesca. A contatto con Ribera, salvator rosa acquisisce la visione della vita come “teatro verità”, mettendo a nudo l’essenza tragica ed eroica dell’esistenza. Attraverso l’esperienza umana e pittorica, ribera indicava a rosa la possibilità di conciliare arte e vita, realtà e fantasia, grandiosità e miseria, caducità ed eternità.

Nel 1635 si trasferisce a Roma, ma per motivi di salute, torna bene presto a Napoli, dove frequenta la bottega di Aniello Falcone e dipinge numerose battaglie. Nel 1639 torna nuovamente a Roma:da quel momento in poi non avrebbe più fatto ritrono a Napoli, ma l’incanto procurato dal paesaggio di quella Napoli tipicamente naturalistica sarebbe restata costantemente presente nell’esperienza del pittore come paesaggista tra il reale e il fantastico. Il suo stesso temperamento resta intimamente napoletano, ma egli è aggressivo ed esibizionista solo nella difesa polemica della propria arte e delle proprie idee, con il gusto per la satira, per le discussione ed i modi di agire. Fa scandalo a Roma attaccando la maniera e l’ambiente barocco del Bernini e, perdendo così la possibilità di affermarsi nell’urbe come commediante e pittore, si trasferisce a Firenze, presso la corte medicea.

Nei primi anni fiorentini l’artista sperimenta diversi linguaggi, mostrando contemporaneamente echi dello stile romano e napoletano. Allo stesso tempo sperimenta un nuovo stile che raggiunge i toni più alti nei grandi dipinti a palazzo pitti, rappresentanti paesaggi densi di nebbie e polveri, velati di toni grigi, azzurrini, rosati e rossi. Appartengono a questi anni e dipinti forse più significativi dell’attività di Rosa a Firenze, quelli in cui sviluppa quei temi filosofici che gli resteranno cari per tutta la sua carriera. Negli ultimi anni del soggiorno fiorentino si collocano alcuni dei principali ritratti e le scene di stregoneria, dettate, queste ultime, dalla volontà dell’artista di cercare aspetti desueti sia nella natura che nei comportamenti umani.

Insoddisfatto dell’alto mecenatismo delle corti, ritorna a aroma, nel 1649, in via definitiva, e deciso ad imporsi quale pittore di “cose filosofiche e morali”. Sostenitore del proprio genio d’artista, espone assiduamente al Pantheon, non tanto per vendere quanto per fare chiasso sulle proprie opere. Nel 1662 si dedica a fare incisioni di propri quadri,sia perché gli artisti tengono molto che le proprie opere fossero “date alle stampe”,sia perché qualche cliente, vedendo una sua acquaforte e leggendovi “salvator rosa pinxit”può chiedergli la tela che egli avrebbe appositamente dipinta.

Morirà a Roma nel 1673, pochi giorni dopo aver sposato Lucrezia.


La sua ribellione sta soprattutto nell’originalità del suo stile,tendente verso il realismo pittorico:egli non segue cioè,la tradizione pittorica carracesca,della quale era peculiare la finalità della rappresentazione letteraria,ma piega a tale esigenza una tradizione realistica e addirittura bambocciate.Il Rosa tende ad animare questa realtà visiva con un’enfasi teatrale che è tipica del suo temperamento,e resta alieno al mondo classico-barocco;non dipinse affreschi,non studiò prospettiva,né proporzioni,né statuaria antica,né il disegno come lo si intendeva.

Nella scelta dei temi Salvator Rosa è polemico,convinto che la filosofia non “ama entrare nelle case dei ricchi”,affermando il principio della superiorità del genio,la dote innata dei semplici:i filosofi apprendono dai semplici, e questi sono sempre superiori ai potenti. Egli non afferma verità assolute,ma esprime soprattutto atteggiamenti morali nei confronti della civiltà del suo tempo,esprime il proprio dissenso nei confronti dell’establishment.

Anche il suo amore per la campagna è una forma di ribellione alla civiltà,che corrisponde ad un atteggiamento molto diffuso nel Seicento,il quietismo. Stoicismo,misantropia e quietismo,simpatia per la ricerca scientifica e libertà del pensiero laico sono gli elementi che pongono il Rosa nella posizione di eroe in quel percorso culturale del dissenso che alla fine del secolo successivo si chiamerà illuminismo e rivoluzione. E’ ribelle anche nelle emozioni:si commuove di fronte alla natura non solo quando essa si presenta lieta e serena,ma anche quando appare vergine e selvaggia,rivelando tutta l’orrida bellezza delle sue cascate,dei suoi dirupi rocciosi,delle sue montagne,perché quella è la natura che affascina e soggioga l’uomo,dandogli il senso della superiorità e dell’eternità dell’universo.

La sua pittura non punta sulla varietà e sulla piacevolezza del colore,se non in alcuni momenti,ma generalmente mira alla resa pittorica della materia,con un forte spessore dell’impatto cromatico,che giunge a notevoli libertà nel tocco. Sceglie i temi secondo le proprie simpatie e unicamente in vista dell’effetto pittorico;in particolare preferisce quelle figure che cercano qualcosa nel terreno:una traccia del passato,della storia, della vita umana, che la natura sembra aver assimilato e prodotto. Ama l’occulto,l’oscuro,così come i classicisti amano la chiarezza. Cerca l’orrido e lo sgradevole che ispirano terrore e disgusto.

Pur essendo lontano dalla sua terra, salvator rosa ,dal suo spirito napoletano, comunque rimasto verace, seppe trarre materia indispensabile per sperimentare costantemente e con inalterata passione, ogni forma di espressione artistica,dalla pittura alla poesia, dalla musica al teatro, riuscendo ad essere allo stesso tempo pittore d’emozione e poeta satirico,colto e raffinato esperto di musica moderna e interprete coinvolgente della commedia come tragedia contemporanea. Tutto questo pur essendo a servizio di una committenza colta e prestigiosa, ma anche potente e autorevole, senza mai rinunciare a un’innata libertà di spirito , di mente e di azione, evitando, per quanto possibile, conformismi e convenzioni.

In una varietà di stili assolutamente unica Salvator Rosa riunisce il nucleo di un pensiero troppo moderno per la sua epoca, e forse per questo “penalizzato” con la quasi totale assenza dai manuali di storia dell’arte che, invece, hanno sempre prediletto artisti più conformi alle correnti a loro contemporanee.













A cura di:

Ruocco Roberta

Cioffi Rossella



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