
“Autoritratto in veste di guerriero” , National Gallery, Londra
Pittura sfumata, toni bruni, "d'una brunezza Africana, di capelli negri e folti", col volto deciso in piena luce dorata tra zone scure: mano alla spada, fuciloni alla parete, bandiere catturate al nemico. Sembra il manifesto di un mercenario che cerca ingaggio. Si mostra fiero, quasi irridente, severo con la spada impugnata ad alimentare la fama di artista spadaccino. Sono "composizioni originali" in cui Rosa seguiva la sua libertà creativa. E uno schieramento di singole "Figure o capricci" che Spinosa chiama "i soldatini" di Salvator Rosa. Incisioni che all’artista procurarono "grande notorietà e successo di pubblico" con copie tirate fino a tutto il Settecento e richieste anche all'estero.

“Autoritratto”, cm. 115 x 92, National Gallery, Londra
Nel secondo autoritratto appare come un giovane composto ed elegante, col volto affilato e lo sguardo malinconico.
È il ritratto idealizzato di un “filosofo”, giustificato dal cartello che stringe nella mano destra: “Aut tace aut loquere meliora silentio” (Taci o di’qualcosa che sia meglio del silenzio). Salvator Rosa si è mosso sempre in ambienti intellettuali e anticonformisti, in linea col suo carattere irrequieto, insoddisfatto, di "dissenso", come quello di una generazione di pittori e scrittori, "fortemente critica nei confronti del potere politico e religioso". Un Salvatore tutto impegnato "nel tentativo di conciliare arte e vita, pittura e filosofia, alchimia o magia e sperimentazione scientifica, storia e mito, realtà e fantasia".

"Appostamento di soldati in un antro roccioso", cm. 142 x 193, Louvre, Parigi
In questo dipinto, l’autore sfrutta le particolarità naturali della costa come le rocce traforate, gli archi naturali. L'unione fra natura e torri, ponti rotti e fortificazioni. I colori scuri che utilizza nel dipinto si contrappongono alle luci delle rocce. I pochi lampi sulle corazze nere fanno intuire gli armati, le rocce si rifanno ai colori bruciati e ai fumi degli antri dei Campi Flegrei. L'incombere della parete rocciosa è uno degli effetti simbolici che diffusero il mito moderno di Salvator Rosa "pre-romantico".
È un’opera siglata con le solite iniziali intrecciate del pittore, questa volta però come scolpite nella roccia.

“La battaglia tra cristiani e turchi”, cm. 234 x 350, Palazzo Pitti, Firenze
Battaglie e paesaggi sono fra i soggetti rappresentati da Salvator Rosa, che sembra essere "affascinato" da Falcone, dalle sue battaglie 'senza eroi', nelle quali ritrovava quella miserabile e indistinta umanità, destinata o a combattere ferocemente per sopravvivere o morire, lontano dalla patria, nella polvere e nell’ “oblio”. Se la guerra è inutile e se Salvatore deve dipingere una scena di battaglia, allora si ritrae nell'angolo basso a sinistra, dietro ad uno scudo su cui si firma "Saro". A voler affermare che "io, Salvator Rosa, sarò il vero protagonista perché eroe è l'artista che sa rendere eterno ciò che eterno non è".

“Il martirio di Attilio Regolo”, cm. 152 x 219, Museum of Fine Arts, Richmond
Nelle scene di soggetto storico, Salvator Rosa predilige temi che esaltano le virtù dell’individuo, l’atto di eroismo di chi nel bene e nel male sceglie di stare fuori dalle logiche del potere. Nei suoi dipinti accentua la sua vena polemica contro quei coriacei baluardi di potere che nella Roma seicentesca erano rappresentati dall’apparato papale e dalle grandi famiglie nobiliari. Ed è così che la storia di Attilio Regolo, che preferisce una fine orrenda pur di spingere il suo popolo alla resistenza contro la stirpe punica, diventa lo spunto per una scena animata dove ogni individuo svolge la sua mansione in un’atmosfera quasi plumbea, sebbene popolata da eleganti figure.
Per Nicola Spinosa, presidente della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Napoletano, “Salvator Rosa, dopo Caravaggio, è certamente una di quelle personalità che più hanno segnato, non solo le vicende dell’arte in Italia tra naturalismo e barocco, quanto anche la fantasia di noi contemporanei. Poeta, pittore, letterato e uomo d’armi, uomo di teatro e pratico di alchimia, condensa in sé tutti gli aspetti più diversi e contrastanti di un partenopeo, sebbene costretto a lavorare altrove. La sua pittura con temi biblici ed evangelici, alchemici e filosofici, magici e di stregoneria, ma anche fatta di straordinari ritratti di uomini e donne del suo tempo e autoritratti di coinvolgente comunicatività, è attraversata, come tutta la realtà napoletana di ieri e di oggi, da luci e ombre, fati e misfatti, miseria e nobiltà, profonda religiosità e irreversibile superstizione. Un Caravaggio di metà Seicento con il cuore, l’occhio e la mente di un partenopeo incontrollabile e incontrollato”.

“Erminia e Tancredi”, Galleria Estense, Modena
Sotto l'influenza di Claude Lorrain e Nicolas Poussin, il suo stile, sempre teso a cogliere l'aspetto pittoresco del paesaggio naturale, acquista in quegli anni equilibrio formale e limpidezza classica, anche se nei ritratti e nelle figure rimane ancora l'influenza del crudo naturalismo del Ribera e del drammatico chiaroscuro del Caravaggio.
Sotto questa influenza Salvator Rosa dipinge Erminia e Tancredi,simbolo della vitrù e della forze del filosofo che resiste all’amore carnale offerto dalla bellissima donna,che sembra una matrona romana nei suoi panneggi e nella sua posa.

“Humana Fragilitas”, 1650, Fitzwilliam Museum, Cambridge
Durante gli ultimi anni romani, Salvator Rosa dipinse, oltre a “Lo spirito di Samuele evocato davanti a Saul dalla strega di Endsor”, acquistato da Luigi XIV e oggi al Museo del Louvre,anche uno dei suoi capolavori ,“Humana fragilitas”, molto interessante dal punto di vista iconografico ed altamente suggestivo. In qst dipinto il soggetto scelto è uno dei preferiti dall’artista: le vanitas e l’inutilità della ricerca del potere, della fama e delle ricchezze.
Proprio la presenza della morte alata, che osserva il bimbo poggiato sulle ginocchia della madre, è il tema inquietante che fa capire come la morte decida di agire come, quando e su chi vuole e in questo modo rende inutili tutti gli sforzi dell’uomo e il suo desiderio di materialità.

“La menzogna”, Galleria degli Uffizi, Firenze
Altro dipinto di Salvator Rosa che simboleggia le vanitas è “La Menzogna”.
Emblematico l’uomo, probabilmente un uomo di teatro, con la maschera in mano, che sta a simboleggiare la vita vissuta dietro la falsità, le bugie, appunto una maschera, una menzogna. E’ un tema molto caro all’artista, che dedica ad esso molti suoi quadri, con la volontà da un lato di scuotere gli animi e la sensibilità delle persone, dall’altro con l’intento di deriderne gli sforzi e l’inutilità delle loro vanesie.
La “Menzogna è sempre stata letta come allegoria della simulazione (o della dissimulazione), e dunque alla stregua di una critica al mondo cortigiano, fondato sull’apparenza e sull’occultamento delle vere passioni.
Una curiosità su questo dipinto è che pare fu bucato da una turista che agli Uffizi, evidentemente stanca delle meraviglie che aveva ammirato, ci si appoggiò contro…

“La selva dei filosofi”, 1640-1642, Palazzo Pitti, Firenze
Tema ampiamente affrontato da Salvator Rosa è quello della rappresentazione dei filosofi, del loro pensiero e delle loro virtù. Questo dipinto ricorda molto “La scuola di Atene”di Raffaello e in effetti sembrerebbe una sua trasposizione in termini naturalistici: qui, però, invece dei filosofi abbiamo dei pastori, simbolo di semplicità e di virtù, e invece della grande e monumentale architettura dipinta da Raffaello abbiamo una selva. La “Selva dei filosofi” proviene dalla collezione Gerini e raffigura appunto il noto episodio in cui il filosofo cinico Diogene, vedendo un giovanetto bere dalle mani, getta via la scodella, colpito da quella lezione di semplicità.

“Ponte Rotto”
Il paesaggio naturale, spoglio, selvaggio e carico di mistero: questo è il tipico dipinto di Salvator Rosa che ha come tema l’ambiente e soprattutto il suo disfacimento. Lo scenario dei suoi dipinti è spesso quello del sud, con le sue rocce ed i suoi panorami aspri e severi, resi con una certa dose di libertà espressiva e di fantasia, che non permette mai di identificare con precisione i luoghi rappresentati. Il fogliame è reso con grande accuratezza e spesso sono presenti le caratteristiche torri di avvistamento presenti in tutte le nostre coste flagellate dalle incursioni dei saraceni.
Le figure dei contadini sono riprese nell’atto di animare la conversazione con una gestualità tipica delle popolazioni meridionali. La scelta dei colori cupi ed ombrosi è una costante della paesaggistica rosiana che tende a rappresentare le sue scene al tramonto, per rendere l’atmosfera più raccolta e più intimo il discorrere dei personaggi. Rosa sceglieva alberi maestosi, montagne imponenti, laghi silenziosi, esaltando la bellezza del paesaggio, nel quale inseriva volentieri piccoli personaggi a piedi o a cavallo: pastori, mandriani, contadini.
La natura rappresentata è selvaggia con radure boscose ed alberi dai rami e dai tronchi spezzati, rocce scoscese, boschi ombrosi con aperture su brani di cielo azzurro, nei quali l’artista amava rievocare quei misteriosi paesaggi, aspri di rocce e densi di vegetazione con alberi morenti ed i classici rami spezzati, animati da figure di eremiti e da candide creature di un insuperabile epos virgiliano.

“Streghe ed incantesimi”, 1646, National Gallery, Londra
Salvator Rosa, poeta e pittore, letterato e uomo d’armi, uomo di teatro e pratico di alchimia, infatuato dalla cultura magico filosofica di Giovan Battista Della Porta, durante il suo soggiorno fiorentino, creò opere dal tono esoterico e magico come Streghe e incantesimi.
Possiamo sicuramente notare non solo l’originalità del tema trattato ma anche il modo in cui l’artista ce lo pone e ce lo fa capire: a sinistra varie streghe operano incantesimi su un cadavere, la strega al centro sembra condensare tutto il mondo stregonesco circondata com’è da ampolline ,cimeli vari, ingredienti per le sue pozioni, alle spalle altre streghe che tormentano il cadavere dell’impiccato per ricavarne elementi utili al fine di creare pozioni, come le unghie, a destra il sacrificio di un bambino nelle fauci di un mostro.
In questo dipinto è condensato l’interesse che allora dilagava per questi temi esoterici e misteriosi, con la volontà da parte dell’artista di descrivere questo interesse, ma d’altra parte con il sarcasmo e l’utilizzo della pittura come metodo di derisione per tutta quella gente che in questi temi ci credeva per davvero.
A Cura di:
D’Addetta Deborah
Servodio Mariagrazia
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